Nei suoi libri, Angeles Mastretta dipinge le donne. Signore belle, intelligenti, forti. Donne che nascodono nella sottana, ben stretta tra le gambe, una vita a cui non vogliono rinunciare.
Catalina sa essere una moglie perfetta per il generale Ascensio, governatore dello Stato di Puebla; madre perfetta per i figli usciti dal suo ventre e per quelli che in lei sono entrati dal cuore, con estrema innocenza. Conosce la politica Catì e offre agli amici di suo marito il cibo che non gradiranno. Perché è anche molto dispettosa, fedele ai suoi pensieri.
Si entusiasma, consuma gelati per alleviare la tristezza di certi momenti, infine si innamora. E quando perde la felicità, si rimette in testa un bel cappello e prende a braccetto il suo generale perché è quello che Puebla si aspetta, lo spettacolo che tutti riconoscono.
Credo che Donne dagli occhi grandi sia inarrivabile ormai. Ho certato quegli occhi in tutti gli altri romanzi della Mastretta e non ci sono riuscita. Ma devo anche ammettere che Catalina mi ha ricordato un antico riflesso delle pupille. Catalina è un personaggio splendido, dai contorni mai sfocati, sempre lei, sempre giovane e rotonda.
Il monologo finale è uno dei pezzi più belli che io abbia mai letto.
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Certo che amavo essere amata. Avevo passato tutta la vita a desiderare d’essere amata. La sera del concerto, più che mai.
“Ti ho fottuto la vita, vero?” mi disse.
“Perchè le altre avranno quello che vogliono. Tu che cosa vuoi? Non sono mai riuscito a sapere che cosa vuoi. E’ vero che non ho mai dedicato tempo a pensarci, ma non credermi tanto stupido, so che nel tuo corpo ci sono tante donne diverse e io ne ho conosciute solo alcune”.